La mostra “Storie sulla città” è ideata come una ronda a due direzioni – dalla periferia al centro oppure dal centro alla periferia – resa tale dalla disposizione stessa del salone in cui viene allestita.
Il nostro domicilio comune va percepito come un organismo urbanistico assennato le cui strade sono dei passaggi tra due soste, le cui piazze sono i punti in cui l’energia viene rinnovata per essere avviata in una direzione determinata e le cui case sono dei posti importantissimi. La città è un conglomerato delle proprietà pubbliche e quelle private in uno spazio comune ed è proprio questo il fatto che ci aiuta a comprendere il comportamento dei cittadini. La città, quindi, è altresì un vivere comune nello stesso tempo. E il tempo passato negli spazi chiusi, che siano abitazioni o altri, è una questione dell’isolamento personale che può essere sopportato fino al momento dell’uscita volontaria nello spazio pubblico, la quale comprende anche le relazioni con altra gente o almeno il mostrarsi a loro. Naturalmente, questo processo è anche reversibile, ma per questo non perde nulla di proprio significato.
La città, come una dimora temporanea o permanente, trascende una definizione precisa perché, oltre ad un’orizzontalità spaziale (il lato materiale), include anche un flusso verticale, temporale (il lato spirituale). L’esperienza della città viene resa più complessa con l’attivazione della memoria; le immagini e le impressioni di vari livelli vengono serbate e, se necessarie, richiamate alla coscienza. È difficile che la città non venga vissuta dall’interno, guardarla dalla distanza esterna risulta penosissimo perché ciò include anche il ritorno all’habitus culturale variabile nonché sue varie interpretazioni.
La città si espande (ove non si contrae) incessantemente, come se gli edifici, i contenuti nuovi germogliassero da un micelio sotterraneo seguendo, secondo un piano imperscrutabile, la configurazione del terreno fino ai confini estremi.
I confini della città di Spalato sulla terraferma sono, in fondo, i pendii dei monti e delle montagne circostanti con i quali inizia o finisce la visita della mostra. Alcune fotografie panoramiche del progetto “Trasposizione del paesaggio” (Alajbeg/Perasović) sono le testimonianze delle proporzioni distruttive di violazione del paesaggio idillico.
Anche se in buona fede, l’aiuto alla costruzione della città definitivamente ha superato la ricchezza delle risorse nei dintorni. I suburbi in un certo momento hanno cominciato a dissiparsi nei frammenti incoerenti, come se la forza magica della coesione fosse ridotta in sé in seguito ad un’atrofia. Il nucleo della città è una storia pietrificata e i suburbi sono un avvenire sterile, una landa denudata dalle donazioni. Il processo non selettivo e distruttivo della trasposizione delle materie vive o non vive, iniziato dalla necessità dell’edilizia incontrollata, è il risultato dell’interesse particolare degli abitanti ai quali, infine, non porta niente tranne i disturbi gastrici.
Ci dispiace di aver definito, in modo conclusivo, i confini della città in una maniera così rozza e violenta. Ci siamo trovati sopra un abisso e adesso dobbiamo tornare al centro della città. Il viaggio di ritorno, però, non è rettilineo, porta la logica delle immagini scelte a vanvera dall’ambito circostante, di quelle immagini che vorrebbero “fuggire” dal quadro.
Così anche quello che viene registrato da Duška Boban continua fuori quadro. Gli avvenimenti nello spazio delle sue immagini durano in una maniera pigra. Rivolta con le spalle verso la città, essa è tenuta a osservare l’interspazio, la zona tampone del tempo. Come se una mestizia, una tristezza dovesse richiamare lo spazio “che fu una volta”, per godere allo stesso tempo edonisticamente nell’abbondanza di una realtà consumata, incoerente. Le storie delle sue immagini maturano in un ritmo rallentato per sprofondare fino ai limiti del tempo cercando di aprire una via nel passato. Lei registra sensibilmente il tempo passato presente nell’attualità. Quando si avvicina alla città, quando gli oggetti del suo interesse sono ovvi nelle vedute della città, lei li presenta in un modo informale, ai limiti del significato. Lei è costernata dall’illogicità di una possibile magnifica apparenza in un tempo passato e di abbandono presente. Nel momento in cui viene a capirlo, all’occhio non rimane che focalizzarsi al contenuto secondo la sensibilità visuale per cercare di stabilire in tal modo l’equilibrio mentale tra il respingimento e l’accoglimento. In quel modo viene realizzata la fotografia quale necessità di annotare, senza pretensioni, ma eloquente.
Rino Efendić richiama la città evitandola, la osserva da una distanza indicativa per leggere la durata nelle parti estreme del calcestruzzo di cemento. La sua città è priva di storicità, di quella responsabilità obbligatoria per la storia profonda e nota. Mentalmente, il senso fa parte di una frase interrogativa definita dalla negazione. Quel paradosso “risuscitato” è una perfezione beata dell’universo intero. L’essere cosciente della presenza, niente di più. Rino guarda nell’interpolazione, è focalizzato alle relazioni, non vuole scherzare. Le dimensioni quasi invisibili dell’umorismo nel contenuto narrativo delle fotografie sono il risultato dell’annotazione delle “inezie che fanno la vita”. Quello che accade nel retroscena. La presenza degli edifici e delle strade è puramente formale. Gli artefatti in calcestruzzo di cemento circondano lo spazio pubblico che è il vero territorio della realtà. A prima vista non dicono niente di sé, ma si può leggere “tra le righe”. Non vi esiste un valore teatrale “per sé”. Qualcosa entra nel quadro e si attacca riflessivamente alla retina dell’occhio. Rino passeggia per i suburbi come se Musorgski passeggiasse in un salone di mostra, annotando. Si tratta di una passeggiata, del tempo di rilassamento e della lettura casuale delle tracce della quotidianità. Una cosa è certa, non vi si troverà né l’Arca dell’Alleanza, né il Graal né El Dorado. Vi esistono altre realtà intriganti, qualche volta anche fino al malessere. Quella parte della città vive per inerzia, una volta costruita nel calcestruzzo di cemento e mai più distrutta. Un po’ sfiorata dalla noncuranza, ma durevole fino all’incoscienza.
Zoran Alajbeg entra nella città con cautela, scegliendo attentamente le località e l’ora di registrazione. L’interpretazione di queste immagini acromatiche di fina modellazione è duplice. Le vedute della città s’intravvedono appena nell’atmosfera protetta dall’umidità. L’accento è posto sui piani chiaroscuri. Il quadro viene scelto attentamente, la composizione è equilibrata e l’immagine è estetizzata fino agli estremi. Si direbbe di trovarsi davanti alle fotografie magistrali di un’atmosfera idillica. Io ci vedo, però, una serie d’immagini estratti da un film la cui azione è soffocata, estratti da un giro per la città in un tempo inconsueto. E, soprattutto, estratti da un rapporto affermativo verso l’eredità culturale materiale. La camera registra lo spazio “lavato” dalla quotidianità, uno spazio a sé stante e bastante. La gente non identificata s’intravvede passare per le strade come se giocasse, al rallentamento, un breve ruolo di vita sullo sfondo della città, di una città architettonicamente imposta per l’eternità. La città di Zoran sottintende la gente come una necessità, come una giustificazione, ma loro sono lì anche quando non si trovano nel quadro, rappresentano, in breve, un’anima tranquillizzata della città. Nascosta dietro un ricco panneggiamento dei tendaggi, questa gente tende un agguato al momento giusto per uscire sul magnifico palcoscenico.
Se l’architettura del nucleo della città potesse parlare, parlerebbe con voce tonante, dall’alto, e si comporterebbe teatralmente. E se si dovesse diminuire alla misura umana, racconterebbe sottovoce la storia di se stessa e della gente. Proprio questa storia viene narrata, con pazienza e a più riprese, da Valentino Bilić Prcić. Lui è soprattutto un filo-urbano che cerca un giusto quadro. La macchina fotografica per lui è uno strumento attraverso il quale realizza il legame con il mondo. Anche quella macchina possiede una personalità, se ciò le viene permesso. Niente d’insolito, la gente entra volontariamente in rapporto con l’obiettivo perché l’obiettivo è uno specchio di speranza. Uno non è quello che veramente è, ma può essere migliore. Valentino ama in ugual misura sia la gente, sia gli artefatti, sia il rapporto tra loro. La pittura figurativa ha portato alla fotografia, come se fosse un viatico, anche i piani, e non solo il quadro. Valentino gioca con i piani e con le possibilità di focalizzazione. Le sue fotografie sono, a prima vista, il risultato di un processo dell’equilibramento dell’ottica. I significati del soggetto e dell’oggetto sono inversivi così che viene imposta l’azione che deve essere indovinata. Questa possibile interpretazione a posteriori nella maniera “può essere anche così” viene, però, preceduta da un’attenta visualizzazione e indirizzamento alla totalità. Una cosa è sicura: Valentino osserva contemporaneamente sia il bosco, sia l’albero. Comunque sia, le fotografie sono dolci e attraenti, il loro tempo è contemporaneo e la misura antropometrica.
Ultime, ma non per ciò meno importanti, le fotografie analoghe bianco-nere di Zvonimir Buljević sono un documento intimistico di Spalato “come fu”. Quando queste fotografie venivano scattate, la città non veniva visitata dalle orde di turisti e non vi erano le navi di crociera perché le destinazioni turistiche erano delle piccole, tranquille insenature sulle isole e dei paesi piccoli. Nelle prossimità dei punti iconici della città si poteva sostare, respirare profondamente e sentire il peso dello spazio. Il momento culturale della scoperta della città è il boom del turismo turbo-folk, il fenomeno dell’ultimo decennio o due. Zvonimir aveva il tempo a disposizione per documentare la sovrappopolazione del Peristilio, della Riva, delle Botticelle, ma ritornava piuttosto all’ombra solitaria sulla luce. La poetica personale del maestro della camera oscura consta nella ritenutezza dalla dovizia. Come se le fotografie fossero fuori tempo: è difficile attribuire a esse una data perché evitano l’interpretazione sociologica, i legami tra la causa e la conseguenza. Il mondo appare come un fenomeno, ma nei dettagli che scoprono l’essenza sulla misura dell’uomo perché il mondo senza l’uomo non esiste. Il mondo è soltanto un’idea sull’umanità.
Mateo Perasović
AUTORI:
Zoran Alajbeg
Nato nel 1961. Lavora nell’ambito della fotografia dal 1978. Dal 1992 il suo lavoro si focalizza sul patrimonio culturale e storico. Finora ha realizzato 11 mostre personali, e le sue foto sono esposte sui numerosi progetti, le mostre collettive di fotografia, specialmente sulle mostre della tematica di archeologia. Autore delle fotografie nelle numerose monografie nazionali ed internazionali, nelle monografie professionali, nelle riviste e nei cataloghi. Notevole attività per le fotografie dei cataloghi e delle mostre artistiche. Collabora con molte istituzioni nazionali ed internazionali. Abita a Spalato, impiegato come fotografo al Museo Archeologico, Spalato. Membro dell’ULUPUH (dal 2008), dell’HULU Spalato e Foto Club “Spalato”.
LA LISTA DELLE OPERE
Dal ciclo “Il viso della città”
- E tutto dorme qui, 100 x 66 cm
- La mattina, 100 x 66 cm
- Lui solo orgoglioso nell’altezza, 100 x 66 cm
- Fa bene vederla per un attimo, 100 x 66 cm
- Il vento la porta scarsamente, 100 x 66 cm
- Il silenzio, 100 x 66 cm
- Fissando lo sguardo, 100 x 66 cm
Valentino Bilić Prcić
Nato nel 1967 a Imotski. Si forma nel Centro d’Arte e cultura di Spalato sezione fotografia. Si è laureato nel 1986 sul tema della fotografia di moda. Dal 1985 è membro del Foto Club Spalato, dal 1987 è anche membro del CinemaClub Spalato. E’ membro della Società croata degli Artisti Indipendenti (HZSU) e dell’Associazione Croata degli Artisti (HULU). E’ inoltre membro del comitato esecutivo del Foto Club e del Comitato Esecutivo dell’Alleanza dei fotografi croati. Dal 2004 al 2005 collabora alla rivista Mila e Cosmopolitan; dal 2007 al 2012 è coordinatore/organizzatore della mostra e delle sezioni per i fotografi di World Press Photo a Spalato.
LA LISTA DELLE OPERE
Ciclo „Mi ricordo....“, 16 fotografie dal 01 al 16
Duška Boban
Duška Boban si è laureata nel 2000 nell’Accademia d’Arte a Zagabria in grafica, presso la classe del professore Ante Kuduz. Al momento sta per completare lo studio postlaurea sulle comunicazioni visuali presso l’Accademia dell’Arte a Lubiana dove gestisce il progetto dell’identità di città. Attiva nell’ambito delle pratiche artistiche contemporanee, comunicazioni visuali specialmente presso l’Associazione dell’arte contemporanea KVART e per l’organizzazione informale “L’iniziativa PER Marjan”. Ha esibito 4 mostre personali e numerose mostre collettive nazionali e all’estero. E’ professoressa delle materie professionali nella Scuola per il design, la grafica e l’edilizia sostenibile.
LA LISTA DELLE OPERE
Ciclo “Marjan, la torre di osservazione”, 60 x 60 cm, 6 paia di fotografie analoghe
- La torre di osservazione
- Il porto, vicino e lontano
- Il nuoto
- Le coppie
- Il quadro
- La rete
Ciclo “Il porto Nord”, 128 x 81 cm, 2 fotografie analoghe
- La vita urbana ancora non è cominciata I
- La vita urbana ancora non è cominciata II
Zvonimir Buljević (1933. - 2006.)
Originario di Lokva Rogoznica (vicino a Omiš) lavora fino alla sua pensione come fotografo nell’Istituto per la Protezione dei Monumenti Culturali a Spalato e prima nell’Istituto Urbanistico della Dalmazia. Come letterato in prosa ha pubblicato 12 libri, molte novelle, e diversi temi su viaggi e approfondimenti vari su giornali e nelle riviste letterarie.
E’ stato membro della Società dei letterari croati, Associazione croata, Foto Club Spalato ed editore delle biblioteche del Circolo letterario Spalato per molti anni.
Ha partecipato in Croazia e all’estero a numerose mostre fotografiche ed ha vinto diversi e importanti premi. Ha fatto 16 mostre personali e ha partecipato a diverse monografie, cataloghi delle mostre, guide ed altri libri con le sue fotografie. Ha filmato alcuni brevi film, tra i quali il più significativo è “Alla fine del viaggio - il sogno”.
LA LISTA DELLE OPERE
- La porta d’oro del palazzo di Diocleziano, 50x70 cm
- Il mausoleo di Diocleziano – la cattedrale si Santo Duje, Spalato, 54 x 70 cm
- Peristilio del palazzo di Diocleziano a Spalato, 70 x 52 cm
- Piazza, 52 x 70 cm
- La casa sul campo della regina Jelena, 70 x 52 cm
- La casa a Lovreto, 70 x 26 cm
- Il porto di Spalato nella nebbia, 70 x 52 cm
- Il campanello della cattedrale di Spalato, 52 x 70 cm
- Il tempio di Giove a Spalato, 46 x 70 cm
- Prokurative, 70 x 70 cm
- Portale di mausoleo, 58 x 70 cm
- Portale del palazzo di Papalić, 54 x 70 cm
- Lungo le mura Sud del palazzo di Diocleziano, 100 x 21 cm
Rino Efendić
Nato nel 1961 a Sinj. Nel periodo dal 1981-1983 ha studiato la fotografia all’Accademia d’Arte a Zagabria; nel periodo dal 1983-1988 approfondisce la storia dell’arte ed etnologia alla Facoltà di Filosofia a Zagabria. Nel 2000 gestisce una piccola scuola di fotografia denominata OPUS Spalato, e dal 2001 ha una piccola scuola di fotografia il Club Otok a Dubrovnik. E’ membro dell’ HULU Spalato, dal 2006 anche dell’Associazione dell’Arte Contemporanea Kvart, Spalato. Le sue foto si trovano nella Galleria d’Arte aSpalato.
LA LISTA DELLE OPERE
Ciclo “Subnational Geographic”, 49 fotografie in 7 sequenze dal 299 x 28 cm
Mateo Perasović
Nato nel1954 a Spalato. Dal 1975 esibisce disegni, grafiche, quadri, fotografie, video, ceramiche, oggetti, instalazzioni ambientali ed i progetti mutimedia nelle mostre personali e collettive in Croazia e all’estero. Nel 1979 si laurea all’Accademia d’Arte a Sarajevo. Membro dell’HULU Spalato dal 1980 e Presidente dell’associazione dal 2002; dal 2000 organizza per l’associazione le grandi mostre. Ha realizzato molti progetti educativi artistici con i bambini e giovani e cura le edizioni delle varie pubblicazione dell’HULU. Autore di libri professionali nell campo di arte è professore di pittura e decano all’Accademia dell’Arte, Università di Spalato.
LA LISTA DELLE OPERE (Zoran Alajbeg / Mateo Perasović)
Dal proggetto “Recepimento del paesaggio”
- Il nord della città, 267 x 178 cm
- Vranjic, 267 x 178 cm
- Sorgente del fiume Jadro (Majdan), 100 x 140 cm
- Boschetto di Sućurac (Kozjak), 140 x 100 cm
- Kozjak (la vista sul Vranjic), 140 x 100 cm
- Boschetto di Vranjic (Kozjak), 140 x 100 cm
- Piccola testa grossa (Klis), 140 x 100 cm
IMPRESSUM:
organizzazione
Hulu-Split /
Associazione croata degli artisti di SPLIT
Museo Comunale d’Arte Moderna,
dell’Informazione e della Fotografia
COMUNE DI SENIGALLIA
curatore
Mateo Perasović
coordinazione
Mateo Perasović
Ivo Županović
testo
Mateo Perasović
traduzione
Goran Rukavina
fotografie
Zoran Alajbeg
Duška Boban
Rino Efendić
Valentino Bilić Prcić
Zvonimir Buljević
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